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MAO ZEDONG
(o Mao Tse-tung, 18931976). Politico cinese. Fu personalità contraddittoria nella quale convissero sempre l'ansia di ribellione e l'esigenza di assicurare alla Cina un potere forte, operante a vantaggio della maggioranza povera.

LA STRATEGIA DELLE "BASI ROSSE".
Nato in una famiglia di contadini ricchi del Hunan, rifiutò fin dalla scuola il formalismo autoritario confuciano preferendo la cultura eterodossa dei romanzi e dei testi di strategia: volontario nell'esercito repubblicano nel 1911, acquisì una raffinata cultura cinese e una buona conoscenza della storia e della filosofia occidentali nella scuola normale di Changsha, una delle più moderne del paese; in particolare subì il fascino del pensiero di Rousseau. Lettore e collaboratore di Gioventù nuova, nel 1918 si recò a Pechino dove, bibliotecario all'università, divenne marxista sotto l'influenza di Li Dazhao e Chen Duxiu. Tornato nel Hunan fondò, con numerosi protagonisti delle successive lotte, la Società di studio degli uomini nuovi e nel 1921 partecipò alla fondazione del Partito comunista cinese. Organizzò il partito tra i minatori del Hunan e passò nel 1923 a Canton e Shanghai nel quadro della collaborazione tra comunisti e Guomindang che sostenne per i suoi forti sentimenti nazionali. Nella primavera del 1927, inviato in missione in Hunan, scoprì la forza del movimento dei contadini poveri nel quale identificò subito la spinta decisiva per la rivoluzione: nell'autunno guidò le rivolte di contadini e minatori del Hunan e si rifugiò poi sui monti Jinggang, dove costituì una zona di guerriglia che gradualmente raccolse gran parte dell'armata rossa. Qui iniziò l'elaborazione della sua strategia: per Mao i contadini poveri costituivano la principale forza di classe della rivoluzione cinese; la loro lotta armata, condotta con strategia di guerriglia da un esercito di partito capace di assicurare la copertura dalla repressione, doveva costituire basi rosse, nelle quali un potere socialmente contrapposto a quello tradizionale era impegnato a mobilitare ed educare i contadini, a togliere ai proprietari inattivi la terra e a distribuirla ai poveri. Nonostante le condizioni materiali improbe, le gravi perdite e la pressante repressione del Guomindang che colpiva militanti e villaggi, la strategia di Mao ebbe successo e già nel 1930 le basi rosse costituivano una realtà che il Partito comunista e l'Internazionale non potevano più trascurare, anche se prima Li Lisan con la sua linea operaista, poi i gruppi di militanti fedeli a Stalin cercarono di emarginare Mao e i suoi seguaci dal potere nelle basi rosse e dal controllo delle forze armate rivoluzionarie. Soltanto all'inizio del 1935, nel pieno della Lunga marcia, Mao conquistò un primato nel partito che in seguito consolidò allontanando alcuni avversari e acquisendone altri alle sue posizioni. Fu comunque la scelta di impegnare totalmente il partito nella resistenza al Giappone, scatenando contro l'invasore una lotta totale attraverso la guerriglia contadina e la costituzione di zone liberate controllate dal partito, a porre Mao al centro del movimento comunista cinese e a identificare i comunisti con la resistenza nazionale.

LE CONTRADDIZIONI DEL POTERE. Dopo la liberazione dai giapponesi (1945), la vittoria sul Guomindang nel 1949 e l'eliminazione dei proprietari terrieri, Mao accettò il modello sovietico per l'industrializzazione e per la gestione dei settori moderni della Repubblica popolare, di cui assunse la presidenza. Riprese però l'elaborazione di un'autonoma strategia sociale con la collettivizzazione agraria del 1955 e soprattutto con la creazione delle comuni popolari nel 1958. La crisi dei paesi dell'Europa orientale, nell'autunno del 1956, gli rivelò la fragilità dei regimi controllati dai partiti comunisti e lo indusse a intensificare la mobilitazione delle forze sociali rurali più organicamente legate alla rivoluzione. La rinnovata priorità alla lotta sociale agraria aggravò però le nascenti tensioni tra il potere del partito e gli intellettuali, mentre il sostegno del proletariato urbano era condizionato dalla piena occupazione e da meccanismi assistenziali: Mao si trovò così, dal 1958 in poi, a condurre una battaglia politica che godeva di scarso consenso nei settori moderni della società. Mentre i sovietici perseguivano con gli Stati Uniti una politica di distensione che, per il continuato rifiuto americano di riconoscere il regime di Pechino, appariva ai comunisti cinesi come una collusione contro la Cina, Mao trasse dall'analisi della situazione sovietica la conclusione che fosse necessario combattere contro ogni ripiegamento dalle scelte rivoluzionarie, anche a prezzo di accentuare le tensioni interne e di dover intensificare repressione di classe, condizionamenti culturali e mobilitazione ugualitaria delle masse. Al tempo stesso egli era però convinto che il partito, dotato del monopolio totale del potere sullo stato e sull'economia, stesse divenendo fonte di nuovi privilegi: la trasformazione dei gruppi dirigenti in nuova classe privilegiata poteva far cambiare colore al partito, trasformandolo in una forza di tipo fascista destinata a reprimere le masse e ad accentuare le differenze sociali. Per impedire questi sviluppi, nei quali ravvisava il rischio di perdere tutto ciò che la rivoluzione aveva conquistato a tanto caro prezzo (personalmente Mao perdette nella lotta la prima moglie, i fratelli e poi un figlio caduto in Corea), nel 1966 egli scatenò la rivoluzione culturale, facendo appello alle iniziative eversive dei giovani, penalizzati dal consolidarsi del nuovo assetto sociale e dal carattere repressivo della società, e al sostegno dei militanti rurali formatisi nella lotta sociale e militare ispirata dalla sua strategia. Il suo sforzo per salvare i valori in nome dei quali la rivoluzione era stata combattuta mise tuttavia Mao nella posizione contraddittoria di essere a un tempo vertice di un regime e capo di ribelli: quando le spinte di protesta, accumulatesi a lungo tra le masse giovanili urbane in una società autoritaria e frustrante, misero in pericolo la stabilità del potere, Mao accettò di far rientrare il suo tentativo, ma visse gli ultimi anni nella tragica certezza che gli ideali che avevano ispirato la lotta sua e dei suoi compagni sarebbero stati presto rinnegati dal partito e dalla società.

E. Collotti Pischel

S. Schram, Mao Tse-tung e la Cina moderna, Il Saggiatore, Milano 1966; E. Collotti Pischel, Storia della rivoluzione cinese, Editori riuniti, Roma 1971; Opere di Mao Tse-tung, 20 volumi, Edizioni rapporti sociali, Milano 1971 e segg.
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